Napoli

Categorie: Campania
La vista sul Golfo di Napoli
La vista sul Golfo di Napoli

Napoli, Neapolis (“Città Nuova”), città, capoluogo di provincia di Napoli, Regione Campania, Italia meridionale. Si trova sulla costa occidentale della penisola italiana a 190 km a sud-est di Roma.

Sulla sua celebre baia, fiancheggiata a ovest dal più piccolo Golfo di Pozzuoli e a sud-est dalla più estesa insenatura del Golfo di Salerno, la città è situata tra due zone di attività vulcanica: il Vesuvio ad est e i Campi Flegrei a nord-ovest. L’eruzione più recente del Vesuvio è avvenuta nel 1944. Nel 1980 un terremoto ha danneggiato Napoli e le sue città periferiche, e da allora Pozzuoli a ovest è stata gravemente colpita dal bradisismo (fenomeno di caduta o di innalzamento del terreno).

Napoli si trova in prossimità della punta centrale dell’arco di colline che, partendo a nord dal promontorio di Posillipo e terminando a sud con la penisola sorrentina, costituiscono il fulcro centrale del Golfo di Napoli. A sud dell’imboccatura del golfo nel Mar Tirreno, l’isola di Capri forma un parziale frangiflutti, visibile dalla città con il bel tempo e nei momenti di tempesta incombente ma sempre più schermata dall’aria inquinata della zona industriale sviluppatasi, a partire dalla seconda guerra mondiale, tra il centro di Napoli e le pendici vesuviane. L’inquinamento affligge anche le acque del porto, obbligando i più scrupolosi praticanti dell’immemorabile industria ittica napoletana a ritirarsi sempre più lontano dalla loro terra natia.

Mentre l’importanza di Napoli come principale porto dell’Italia meridionale è in declino, la città rimane il centro del commercio e della cultura meridionale della nazione, afflitta da incessanti difficoltà, e contraddistinta da uno spirito originale che conserva molte suggestioni del passato classico e dell’esperienza storica assimilata. Tra tutte le città del sud Italia di origine greca, Napoli presenta l’esempio più eclatante di una vivace continuità. È forse anche l’ultima grande metropoli dell’Europa occidentale i cui monumenti, seppur spesso in decadenza, si possono ancora vedere nel loro contesto popolare, senza distrazioni di turismo o di consapevole commercialismo.

Dalla seconda guerra mondiale, durante la quale Napoli ha subito gravi bombardamenti, la modernizzazione ha sempre più alterato l’ambiente e il carattere della città; e una misura di prosperità, a lungo defilata ma spesso speculativa, si riflette in nuove periferie che oggi proliferano in un ambiente un tempo rurale. Napoli rimane però arcana e avvincente, una città la cui ricchezza richiede al visitatore tempo stesso tempo, accessibilità e una certa conoscenza del passato napoletano. Il suo centro storico è stato dichiarato patrimonio dell’umanità dall’UNESCO nel 1995.

Il paesaggio

Generazioni di osservatori hanno descritto Napoli come un vasto teatro popolare, una designazione che si applica tanto all’aspetto della città di un’arena a più livelli quanto alla sua animata vita di strada. Può anche essere caratterizzato come un immenso presepio, che evoca la popolosa scena del tradizionale presepe natalizio napoletano, l’ampio scenario naturale a cui si contrappone, all’interno della città stessa, una vitalità congestionata. All’ombra del Vesuvio, all’interno della baia, l’arredo napoletano è ancora prevalentemente costituito da palazzi in rosso o ocra e antiche chiese in pietra o stucco. Sebbene le strette vie antiche, brulicanti e trafficate, si arrampichino su per le colline sormontate da nuove costruzioni, pochi edifici nel centro di Napoli si elevano ancora per più di 10 piani. Tre castelli fortificati (due sul lungomare e uno su un’eminenza centrale) definiscono ancora oggi il cuore della città. Nel pittoresco e pallido Castel dell’Ovo, il litorale si divide in due mezzelune naturali.

Il tufo biondo, vulcanico, o tufo, della regione è molto utilizzato nell’edilizia, così come la lava vesuviana scura che pavimenta le strade più antiche. Magistrale è stato anche l’uso, nei secoli passati, dello scuro piperno di pietra del sud, visto al suo massimo splendore al Castel Nuovo.

L’aspetto della città dai colori meridionali intervallati da boschetti sempreverdi di lecci, palme, camelie e pini marittimi riflette un clima in cui i balconi sono in uso per la maggior parte dell’anno.

Il clima a Napoli

Le alte temperature nei mesi di luglio e agosto superano spesso i 35° C, mentre l’inverno umido e freddo è mitigato da molte giornate brillanti. Le temperature invernali raramente scendono al gelo, e la neve che compare occasionalmente sul Vesuvio si vede raramente nella città stessa. Il vento del sud, lo scirocco carico di sabbia, porta a intermittenza una pesante umidità che termina con la pioggia.

Architettura della città

La Napoli suburbana incorpora il promontorio di Posillipo, che si unisce alla città presso il porto nautico di Mergellina, segnalato dalla chiesa di Santa Maria del Parto. La vicina chiesa di Santa Maria di Piedigrotta, centro di una festa popolare ormai dimenticata, è dominata da un piccolo parco che racchiude l’ingresso della grotta romana chiamata Crypta Neapolitana.

In questo luogo struggente si trovano anche il colombario romano noto come Tomba di Virgilio e il sepolcro del poeta romantico Giacomo Leopardi, morto a Napoli nel 1837.

Da Mergellina, il lungomare di via Francesco Caracciolo è affiancato dal lungo parco pubblico chiamato Villa Comunale, che ospita la Stazione Zoologica e l’Acquario (il più antico d’Europa), entrambi fondati nel 1872. Lungo il confine interno del parco corre la Riviera di Chiaia (il nome Chiaia deriva probabilmente da ghiaia), che segna quello che un tempo era il litorale. Ancora per lo più fiancheggiata da bei palazzi antichi, la Riviera di Chiaia era una delle zone residenziali preferite dai visitatori stranieri nel XVIII e XIX secolo. La neoclassica Villa Pignatelli, costruita per Sir Ferdinand Acton nel 1820, è oggi, con i suoi arredi d’epoca, un museo. Incassate in strade contigue, le chiese di Santa Maria in Portico e l’Ascensione a Chiaia ospitano opere dei prolifici pittori napoletani del XVII e XVIII secolo.

La Campania è unica e impareggiabile. Per me l’Italia inizia da Napoli.

Gérard Depardieu

Al di sopra di questo litorale affollato, il panoramico Corso Vittorio Emanuele si snoda a nord-est intorno alle pendici più basse della città, verso la zona labirintica del Rione Mater Dei. Più in alto, il prospero quartiere del Vomero è servito, come altre zone alte della città, da strade a spirale e da una funicolare. Tra i moderni blocchi del Vomero, nel suo vasto parco si distingue facilmente la Villa Floridiana di inizio Ottocento, che ospita il Museo Nazionale Duca di Martina, con una pregevole collezione di porcellane e ceramiche europee e orientali.

Piazza della Vittoria – la cui chiesa titolare ricorda la battaglia di Lepanto (1571) – chiude il perimetro di Villa Comunale e conduce nell’entroterra ai negozi alla moda di Piazza dei Martiri, Via Chiaia e Via dei Mille. La strada del lungomare, divenuta Via Partenope, passa lungo l’antico quartiere di Santa Lucia, molto rimaneggiato a partire dalla fine dell’Ottocento con bonifiche e costruzioni monotone e costeggiato sul lungomare da alcuni dei migliori alberghi della città. Sotto lo sperone del quartiere di Pizzofalcone (frammento rimasto del vulcano spento Echia e un tempo sede di una villa del generale romano Lucinio Licinio Lucullo) una breve strada rialzata conduce al borgo marinaro Castel dell’Ovo, le cui antiche origini sono state inglobate in una fortezza medievale. Sulla seconda mezzaluna della baia, la strada in direzione est passa sotto il lungo e rosso fianco di Palazzo Reale e arriva ai piedi del possente Castel Nuovo, che con le sue torri rotonde domina da un lato il porto principale e dall’altro la grande piazza del Municipio.

Il Castel Nuovo, così chiamato per distinguerlo dal più antico Castel dell’Ovo, fu fondato nel 1279 da Carlo I di Napoli (Carlo d’Angiò). Uno dei tanti punti di riferimento napoletani che portano nomi intercambiabili, è conosciuto localmente come Maschio Angioino, in riferimento alle origini angioine di Carlo e dalla convenzione meridionale italiana che una dimostrazione di potere è necessariamente maschile. Lì, nel XIV secolo, la brillante corte di re Roberto accolse Petrarca e Boccaccio, e Giotto fu chiamato a eseguire gli affreschi (oggi perduti). Il castello fu abbellito da Alfonso V d’Aragona (Alfonso I di Napoli), il cui ingresso trionfale a Napoli nel 1443 fornisce il tema delle magnifiche sculture rinascimentali sopra l’ingresso occidentale. Il castello, che contiene importanti decorazioni tardo-medievali e rinascimentali, ospita oggi gli organi comunali e un istituto di storia napoletana con un’importante biblioteca. All’estremità occidentale di Piazza del Municipio, il municipio di Napoli incorpora, in una bella struttura del 1820, una chiesa del XVI secolo.

Il Castel Nuovo

La strada del lungomare prosegue oltre la darsena, costeggiando al suo interno la popolare chiesa di Santa Maria del Carmine. La vicina Piazza del Mercato, vivace scenario di mercati mattutini, è stata anche, nei secoli passati, luogo di esecuzione. I bombardamenti del porto di Napoli durante la seconda guerra mondiale hanno cancellato gran parte del carattere di questo tratto di litorale, e la strada stessa diverge nella zona industriale di San Giovanni a Teduccio (nome che forse ricorda quello di Teodosio). La storia visibile riprende nell’avvicinamento a Portici e al litorale vesuviano.

Nell’entroterra, sopra piazza del Municipio, il colle di San Martino è sormontato da una ex Certosa (oggi importante museo di dipinti e oggetti legati alla storia di Napoli) e dalla massiccia spalla di Castel Sant’Elmo. Entrambi sono di origine angioina. Il castello, fondato nel 1329 da Roberto d’Angiò, fu ricreato nel XVI secolo, sotto i viceré spagnoli, sotto forma di stella a sei punte. All’interno del complesso dell’ex monastero di San Martino, la chiesa stessa è ricca di dipinti e decorazioni marmoree del barocco napoletano. Dall’annesso museo si passa a un giardino terrazzato con un incomparabile panorama di Napoli e della baia.

A sud di Piazza del Municipio, oltre il Castel Nuovo, si erge il complesso rosso di Palazzo Reale, la cui ala nord-est, immersa in un piccolo parco, ospita le grandi collezioni della Biblioteca Nazionale di Napoli. La facciata principale del Palazzo Reale si affaccia maestosa, a sud-ovest, sulla vasta Piazza del Plebiscito, la basilica di San Francesco di Paola, eretta in ringraziamento reale per il restauro del dominio borbonico (1815), sul modello del Pantheon di Roma. Il palazzo, realizzato da Domenico Fontana all’inizio del XVII secolo, ospita oggi uffici governativi e una notevole pinacoteca. Sopra San Francesco di Paola, a sud-ovest, l’altura di Monte di Dio è coronata da due importanti chiese: la seicentesca Santa Maria degli Angeli e la settecentesca Nunziatella.

Adiacente al palazzo, a nord, si trova il teatro lirico San Carlo, che ha ascoltato e ispirato molti dei grandi artisti del bel canto. Sebbene la prodigiosa creatività musicale della Napoli settecentesca non abbia un parallelo moderno, il San Carlo rimane un elemento importante della vita musicale europea. Di fronte al trafficato incrocio con il San Carlo, i portici di fine Ottocento della Galleria Umberto I cruciforme servono, sotto la loro cupola di vetro, come ornato luogo d’incontro. I portici erano un terreno familiare ai militari alleati nella fase conclusiva della seconda guerra mondiale, un periodo drammatico ricordato in scritti come La Galleria di John Horne Burns (1947), Napoli ’44 (1978) di Norman Lewis e La pelle (1949) del politicamente volatile Curzio Malaparte, mentre la disaffezione del primo dopoguerra è rappresentata in Un giorno d’impazienza di Raffaele La Capria (1952; Un giorno d’impazienza). Subito a sud, in piazza Trieste e Trento, la seicentesca chiesa di San Ferdinando ha tradizionalmente donato lo Stabat Mater di Giovanni Battista Pergolesi, composto nel 1736 per questa confraternita durante la Settimana di Pasqua.

Da Piazza Trieste e Trento, la brulicante arteria di via Toledo, intitolata al viceré spagnolo Don Pedro di Toledo, che nel 1536 la tracciò verso nord fino al denso centro di Napoli. Con le sue innumerevoli botteghe, intervallate da grandiose chiese, via Toledo è costellata da palazzi del XVII e XVIII secolo, la cui antica magnificenza è stata trasformata in uso commerciale o comunale o (come nel caso del possente Palazzo Maddaloni) è stata lasciata decadere nel degrado residenziale. Sul pendio sopra via Toledo, ripidi vicoli salgono verso San Martino attraverso una zona che, conservando la sua labirintica struttura seicentesca, è ancora oggi nota come Quartieri Spagnoli. La linea inferiore di via Toledo è interrotta in piazza Carità da strutture costruite durante l’epoca fascista e del dopoguerra.

Sbavando nell’emiciclo neoclassico di piazza Dante, via Toledo riprende il suo percorso sotto altri nomi, costeggiando il fianco occidentale del Museo Archeologico Nazionale nella sua salita verso Capodimonte.

Piazza Dante fa parte del confine occidentale del quartiere che, adagiato lungo i tre principali decumani della città greca e romana, costituisce fin dall’antichità il cuore della città. Oltre la pittoresca Porta d’Alba questo quartiere è introdotto, all’estremità occidentale di Via Tribunali, dallo storico Conservatorio di Musica di Napoli e dalla sua grande chiesa gotica di San Pietro a Maiella. Via Tribunali, il decumano maior di Napoli greco-romana, si estende ad est per circa un chilometro e mezzo, terminando presso il tribunale vicino all’antica Porta Capuana. All’estremità occidentale, la rinascimentale Cappella Pontano (in decadenza) ricorda l’umanista Giovanni Pontano, che visse a Napoli sotto il dominio aragonese, mentre le origini più antiche della contigua chiesa barocca di Santa Maria Maggiore sono evidenti in un campanile romanico.

Parallela a via Tribunali, la più breve e alta via Anticaglia conserva, all’interno di strutture successive, evidenti resti di edifici pubblici romani. Il parallelo inferiore (la via che, con nomi provvisori, diventa via San Biagio dei Librai) dà il nome alla cosiddetta Spaccanápoli (“Spalato di Napoli”), denominazione più vagamente applicata a tutto questo antico centro.

Da piazza del Municipio si accede a Spaccanápoli lungo la traiettoria nord-nord ovest formata da via Medina e via Monteoliveto, un percorso che passa, a est di via Monteoliveto, il complesso rinascimentale e barocco incassato di Santa Maria la Nova; e, a ovest, in una piazzetta, la chiesa di Monteoliveto, o Sant’Anna dei Lombardi, suprema a Napoli per l’abbondanza e la qualità della scultura rinascimentale. Da via Monteoliveto, la breve salita chiamata Calata Trinità Maggiore sale a Piazza del Gesù Nuovo, principale via di accesso a Spaccanápoli.

Dominata da ovest da Palazzo Pignatelli (dove risiedeva il pittore Edgar Degas mentre era a Napoli) e con al centro l’obelisco settecentesco napoletano Guglia dell’Immacolata, la piazza è dominata dalla chiesa del Gesù Nuovo, la cui facciata, tagliata a gemme, maschera un sontuoso interno barocco. Di fronte sorge il complesso medievale di Santa Chiara, eretto per l’ordine francescano nel XIV secolo. La vasta chiesa, trasformata internamente nel XVIII secolo e ora restaurata (dopo il tragico bombardamento del 1943) nella sua forma gotica originale, ospita uno splendore danneggiato di tombe reali e affreschi antichi. Sul retro il grande chiostro, decorato con maioliche settecentesche, è uno dei più belli di Napoli.

Da questa piazza la linea di Spaccanápoli corre verso est. La profusione di monumenti importanti, la mescolanza di epoche e l’esuberanza dell’ambiente umano sono di un fascino inesauribile. Vicino al Gesù Nuovo, Palazzo Filomarino ospita l’Istituto Italiano di Studi Storici, fondato dal filosofo Benedetto Croce. Un altro celebre filosofo napoletano, Giambattista Vico, è nato due secoli prima di Croce, in una casa anch’essa conservata in questa via. Affiancata da grandi palazzi, la basilica di San Domenico Maggiore, la cui forma gotica si fonde con le strutture dei secoli successivi, è un tesoro di pittura e scultura. Nel 1272-74, San Tommaso d’Aquino insegnava nell’annesso monastero. Dove l’incrocio di via Mezzocannone gira a sud verso l’Università di Napoli, la chiesa di Sant’Angelo a Nilo contiene un’alta tomba scolpita da Donatello e Michelozzo. Il vicino Palazzo rinascimentale Santangelo era una roccaforte della potente famiglia Carafa.

Nella traversa ascendente di via San Gregorio Armeno, la chiesa di questo nome è un esempio del rococò napoletano. In questa via, nelle botteghe a forma di astuccio, si fanno le figure degli innumerevoli asili nido della famiglia napoletana, che ogni Natale culminano in una scena di indescrivibile vivacità e fascino. Via San Gregorio Armeno termina, all’incrocio con Via Tribunali, nella piccola piazza San Gaetano, che sovrasta il sito dell’agorà greca e del foro romano. Confina con le due grandi chiese di San Lorenzo Maggiore e di San Paolo Maggiore, e in prossimità di una terza (quella dei Gerolomini) questo spazio affollato rimane il fulcro della continuità napoletana.

Parto. Non dimenticherò né la via Toledo né tutti gli altri quartieri di Napoli; ai miei occhi è, senza nessun paragone, la città più bella dell’universo.

Stendhal

La splendida chiesa gotica di San Lorenzo Maggiore si erge su strati di antichità. Sotto il suo chiostro, che contiene resti esposti di epoca romana, un grande scavo di epoca greca e romana di Napoli costituisce (con le antichità scoperte sotto la vicina Duomo) un notevole segmento del centro antico della città.

A San Lorenzo Maggiore, nel 1334, Boccaccio affermava di aver visto Fiammetta per la prima volta; e lì, nel novembre del 1345, Petrarca, allora alloggiato nell’adiacente monastero, pregava (come racconta in una memorabile lettera) per la liberazione della città da una catastrofica tempesta. San Paolo Maggiore, sul luogo di un tempio romano, presenta delle antichità incorporate nel suo bell’esterno e nell’adiacente chiostro. Il grande complesso dei Gerolomini abbraccia una magnifica biblioteca e una piccola galleria di quadri napoletani. Il suo ingresso su via del Duomo si affaccia sulla cattedrale (Duomo) di Napoli.

Il Duomo di Napoli è dedicato al patrono della città, San Gennaro, la cui liquefazione del sangue rappreso è lo stimolo per due feste popolari ogni anno. La ricca cappella (o tesoreria) di San Gennaro fa parte di un interno la cui abbondanza di colonne antiche, dipinti, sculture e oggetti preziosi costituisce, anche nella sua incongruenza, una storia di Napoli. L’attuale chiesa dà accesso alla primitiva basilica di Santa Restituta e all’annesso battistero, con mosaici del V secolo, di San Giovanni in Fonte. Vicino al fianco superiore (sud) della cattedrale, la trecentesca chiesa di Santa Maria Donnaregina è, nella sua decorazione interna, tra i più interessanti e belli monumenti medievali di Napoli, mentre i vicini Santi Apostoli, sul sito di un tempio romano, offrono una prodigiosa esposizione di pittura napoletana del XVII secolo.

Ad est, il formidabile Castel Capuano, sede di tribunali fin dal XVI secolo, sorge vicino alle torri rotonde di Porta Capuana, che a loro volta adombrano la chiesa rinascimentale di Santa Caterina a Formiello. Rinascimentale è anche la decorazione, opera di Giuliano da Maiano, dell’arco esterno di questa porta urbica aragonese. Oltrepassata Porta Capuana, la diagonale nord-ovest-sudest di Via Carbonara segue la linea delle mura cittadine abbattute. Segnata, sul suo pendio superiore, dalla monumentale chiesa di San Giovanni a Carbonara contenente la tomba statuaria di re Ladislao e altre opere tardogotiche e del primo Rinascimento del capoluogo (Via Carbonara scende, con un cambio di nome, a Piazza Garibaldi e alla stazione ferroviaria).

Verso la fine dell’Ottocento, un precipitoso cambiamento fu causato, da piazza del Municipio alla stazione ferroviaria, dalla bonifica dei bassifondi, o risanamento, che, in seguito a una calamitosa epidemia di colera del 1884, guidò il rettilineo, Corso Umberto I (detto anche Rettifilo) attraverso quel quartiere storico. Lo stolido Rettifilo nasconde, in piccoli recessi, molti edifici storici, a cominciare dalla chiesa di San Pietro Martire e concludendo, in piazza Garibaldi, con quella di San Pietro ad Aram e la sua cripta paleocristiana. Vicino a Piazza Garibaldi, la Porta Nolana Aragonese è un’enclave di trafficatissimi mercati.

Musei di Napoli

Napoli possiede due dei più grandi musei del mondo, entrambi fondati sotto il dominio borbonico. Il Museo Archeologico Nazionale ospita insuperabili collezioni di antichità greco-romane, che comprendono molte delle più belle opere (marmi, bronzi, mosaici, affreschi e ceramiche) provenienti da Ercolano, Pompei e altri siti campani e i marmi farnesiani, un’eredità borbonica. Il museo possiede anche significative antichità egizie. Affacciato a nord su Napoli dal suo bel parco, il Museo Nazionale e Galleria di Capodimonte contiene, insieme ad importanti arazzi e porcellane, una splendida collezione di dipinti, tra cui capolavori di Simone Martini, Masaccio, Botticelli, Colantonio, Lotto, Parmigianino, Correggio, Tiziano, El Greco, Pieter Bruegel il Vecchio, e pregevoli esempi di pittori napoletani del XVII e XVIII secolo. A seguito del terremoto del 1980, le opere di Caravaggio e Tiziano sono state trasferite al Museo Nazionale e alle Gallerie di Capodimonte dal loro tradizionale ambiente cittadino.

Oltre ai musei già noti, il Civico Museo Filangieri ospita, in un edificio rinascimentale di via del Duomo, una collezione di dipinti e oggetti, molti dei quali legati alla storia napoletana. Presso il vicino Archivio di Stato, documenti di grande importanza storica sono installati nell’ex monastero benedettino dei SS. Severo e Sossio (un vasto complesso che comprende, nel chiostro del Platano, i celebri affreschi di Antonio Solario).

Il popolo napoletano

Non si può parlare di Napoli senza parlare del suo popolo: i viaggiatori in Italia abituati alle grandi piazze, dove i visitatori possono osservare a loro piacimento i monumenti e i modi della città, sono spesso perplessi dall’apparente mancanza di tali punti focali a Napoli, non perché non esistano grandi piazze, ma perché spesso sono usate come semplici arterie di traffico e perché la vita della città non è così concentrata in tali luoghi come diffusa intorno ad essi. Il cuore della città sarà piuttosto scoperto nelle piccole e popolose enclavi (animate al mattino, dormienti nel pomeriggio, rianimate alla sera) che, ognuna con un carattere distintivo, costituiscono i quartieri tradizionali della città. L’intimità con una città di questo tipo è necessariamente graduale e richiede uno stato d’animo che equivale a una rivelazione.

Napoli, che dopo le scoperte settecentesche delle città sepolte del Vesuvio, a lungo rimaste essenziali per i viaggi, oggi serve ai visitatori soprattutto come punto di sosta per i luoghi e le località limitrofe. Già in declino, il turismo a Napoli si è fortemente ridotto a causa degli effetti della seconda guerra mondiale, che ha lasciato la città nel caos, e della cessazione dei regolari viaggi via mare, che non portavano più i visitatori al porto di Napoli. Molti dei monumenti della città erano, inoltre, inseriti in quello che i viaggiatori moderni spesso consideravano uno squallore poco invitante; e la criminalità di strada, che rendeva insicuro il trasporto di oggetti di valore, ne ha reso insicuro il pellegrinaggio. Una nuova enfasi turistica sulla brevità, sulla velocità e sui grandi numeri imponeva, a sua volta, requisiti che Napoli non poteva soddisfare: le ricchezze della città di antica continuità e di un fascino che si sviluppava lentamente non erano adatte a un approccio frettoloso o sistematico.

Bypassata dall’afflusso straniero, Napoli ha così conservato molta autenticità e un certo scetticismo nei confronti dei principi moderni.

“i napoletani desiderano che anche il loro lavoro sia una ricreazione”

Goethe

La generalizzazione di Goethe è ancora valida, per quanto incompatibile con le realtà economiche e amministrative. Se Goethe stesso non ha saputo resistere al cliché nordico che i napoletani sono infantili, la penetrazione tollerante del movente, la leggiadra assenza di invidia, di belligeranza, di nazionalismo, e soprattutto il senso civilizzatore della mortalità napoletana, sembrano piuttosto indicativi di una comprensione a lungo trasmessa nelle vicende umane.

La vita intellettuale a Napoli, incentrata soprattutto su studiosi che si occupano del passato classico e napoletano, è caratterizzata da un’alta distinzione e da forti animosità e genera una letteratura importante e variegata. Nonostante la crescita di una classe media e un notevole progresso nella condizione femminile, persistono forti divisioni tra ricchi e poveri, mentre, in tutte le classi, la storia ha fatalmente spento (con rare eccezioni) la fiamma dello spirito civico. La corruzione e l’incuria del governo sono intensificate dalla confusione burocratica e dagli interventi violenti della camorra, un’associazione napoletana illecita analoga alla mafia siciliana.

Tuttavia, con un adattamento infinito, si mantiene un senso di identità. Molti festival sono caduti vittima del traffico e le vecchie canzoni napoletane (ora diffuse elettronicamente) non hanno successori. Ma il fervore e i fuochi d’artificio salutano ancora i santi e i giocatori di calcio. L’ironico dialetto napoletano tiene testa a tutto. L’individualità e la lealtà familiare rimangono forti, così come la capacità non solo di piacere ma anche di gioia.

L’economia

Napoli è il centro industriale del sud Italia. Sotto i Borboni la città ebbe un precoce avvio produttivo, con la fondazione della fabbrica di porcellane nella Reggia di Capodimonte nel 1740 e lo sviluppo della produzione di seta e di altri prodotti tessili subito dopo. L’industria tessile è rimasta importante. Altre industrie tradizionali di continua importanza sono la trasformazione alimentare e la vinificazione. La prima acciaieria è stata aperta alla fine del XIX secolo, ma l’industria non si è aggiunta in modo significativo alla produzione nazionale fino agli anni Settanta del secolo scorso. Tra le industrie più recenti della regione vi sono la produzione elettronica, la raffinazione del petrolio e l’assemblaggio di automobili. L’industria turistica continua ad essere importante per l’economia regionale.

Lo sviluppo industriale è stato notevolmente favorito, dopo la seconda guerra mondiale, dall’azione concertata delle agenzie di pianificazione statale e fiscali e delle aziende possedute o controllate dal governo nazionale. Le infrastrutture della regione sono state ampiamente potenziate e la produzione di energia è stata ampliata. Ciononostante, Napoli e tutto il sud dell’Italia sono molto indietro rispetto al nord.

Trasporti napoletani

Nel 1818 fu varato nei cantieri reali di Napoli il primo battello a vapore sul Mediterraneo. La ristrutturazione dell’antico porto e delle sue aggiunte altomedievali (oggi in gran parte colme) è iniziata nel 1826. Le strutture portuali furono gravemente danneggiate durante la seconda guerra mondiale, ma la successiva ricostruzione e modernizzazione delle sue strutture ha mantenuto Napoli uno dei principali porti del Mediterraneo.

Nel 1839 la prima ferrovia italiana percorse le cinque miglia da Napoli fino alla residenza reale di Portici. La prima funicolare della penisola fu aperta alle alture del Vomero nel 1880.

Napoli si sviluppò in un importante centro ferroviario, essendo il principale nodo di collegamento tra Roma e l’Italia meridionale. Dalla seconda guerra mondiale la città è diventata anche un importante punto di snodo per il traffico stradale e aereo.

Storia di Napoli

Napoli fu fondata intorno al 600 a.C. come Neapolis (“Città Nuova”), vicino al più antico Palaepolis, che aveva a sua volta assorbito il nome della sirena Partenope. Entrambe le città hanno avuto origine come insediamenti greci, estensioni quasi certamente di colonie greche fondate durante il VII e il VI secolo a.C. sulla vicina isola di Pithecusa (oggi Ischia) e a Cuma sulla vicina terraferma, dove oggi si possono visitare notevoli rovine greche.

“Napoli amava da tempo la lingua e i modi di una colonia greca; e la scelta di Virgilio aveva nobilitato questo elegante ritiro, che attirava gli amanti del riposo e dello studio dal rumore, dal fumo e dalla laboriosa opulenza di Roma”

Gibbon

Orazio (qui parafrasato da Gibbon), Virgilio, e il poeta napoletano Statio sono tra i numerosi scrittori classici che attestano l’ellenismo napoletano. La lingua greca si è conservata per tutto il primo millennio della città, sopravvivendo alla sottomissione, nel IV secolo a.C., al dominio di Roma.

Sotto l’impero, Napoli e i suoi dintorni servirono come centro della cultura e dell’erudizione greca e come luogo di villeggiatura per una successione di imperatori e di ricchi romani, le cui ville costiere si estendevano da Misenum sul Golfo di Pozzuoli (l’antica Puteoli) fino alla penisola sorrentina. L’amenità di queste dimore, raffigurate negli affreschi vesuviani recuperati, è confermata da resti come la Villa Jovis di Tiberio a Capri, la villa di Oplontis a Torre Annunziata, e le rovine di Villa Pausilypon, che ha dato al promontorio di Posillipo il suo nome greco che significava “una pausa dalle cure”.

Nei pressi di Ercolano, lo stabilimento privato sepolto, noto come Villa dei Papiri, ha restituito, a metà del XVIII secolo, un tesoro di sculture antiche e un gruppo di pergamene di papiro che si presume appartengano ad un’antica biblioteca. Queste pergamene, molte delle quali decifrate, sono conservate nella Biblioteca Nazionale di Napoli. La villa non è mai stata scoperta e le sue gallerie di accesso settecentesche sono state riaperte solo nel 1987. Una planimetria redatta nel XVIII secolo è stata la base del J. Paul Getty Museum di Malibu, California, Stati Uniti.

In epoca romana Napoli era adornata da templi e terme e da arene simili a quelle sopravvissute a Pozzuoli e Pompei. Le principali strade romane collegavano la città alla capitale e gli acquedotti fornivano acqua dolce. I golfi di Napoli e Pozzuoli erano collegati da gallerie traforate dal tufo giallo di Posillipo inferiore.

Di questi, un esempio suggestivo può essere visitato a Mergellina, alla Crypta Neapolitana, accanto al tumulo romano da tempo venerato come la Tomba di Virgilio, in omaggio al poeta mantovano che celebrò l’ambiente napoletano nel sesto libro della sua Eneide e vi compose le Georgiche tra il 37 e il 30 a.C.

Nel 79 d.C. la grande eruzione del Vesuvio seppellì le città di mare di Pompei, Ercolano e Stabiae, inghiottendo anche molte ville costruite con fiducia sulle pendici di una montagna che non eruttava da più di sette secoli. Un resoconto contemporaneo di questo evento sopravvive in due lettere indirizzate allo storico Tacito da Plinio il Giovane, che descrive il fatidico tentativo dello zio, l’anziano Plinio Polimatico, di salvare i sopravvissuti via mare. Più di 16 secoli dopo, nel 1738, ad Ercolano, sotto l’egida dei Borboni napoletani, si inaugurò lo scavo sistematico delle città sepolte, sotto l’egida dei Borboni napoletani, che avrebbe profondamente influenzato i concetti estetici e scientifici occidentali e trasformato la nostra conoscenza del mondo antico.

Le prime tribolazioni dei cristiani a Napoli sono esemplificate dal martirio del patrono della città, San Gennaro. Le Catacombe di San Gianuario, sul versante di Capodimonte, antedate nel loro primo tratto dalla leggendaria decapitazione del santo nel 305 d.C., sono estremamente interessanti dal punto di vista storico e per la decorazione paleocristiana. Altri siti paleocristiani sono il battistero inglobato nel Duomo, l’antica abside della vicina chiesa di San Giorgio Maggiore e le Catacombe di San Gaudioso sotto la grande chiesa di Santa Maria della Sanità in uno dei quartieri più colorati della città.

Durante il declino dell’Impero Romano, Napoli soffrì con tutta la Penisola Italiana, e, avendo sposato la causa gotica, trasse, nel 536, la vendetta del comandante romano Belisario. Nella divisione del tardo impero la città rimase, con qualche vacillazione, sotto l’Esarcato di Ravenna fino all’VIII secolo quando, ribellandosi agli imperatori d’Oriente, Napoli instaurò una forma di governo repubblicano che assicurò l’indipendenza merlata per più di tre secoli.

Succedendo finalmente al potere longobardo stabilitosi a Capua e Benevento, Napoli vide i Longobardi espropriati, a loro volta, dalle conquiste normanne che travolsero l’Italia meridionale nel XII secolo. Pur includendo Napoli in quel turbolento asservimento, il dominio normanno (e successivamente svevo) elevò la metropoli a capitale regionale e culturale, una posizione che Napoli manterrà fino al XIX secolo sotto diversi governanti. Pur mantenendo la sua corte a Palermo, il Sacro Romano Imperatore Federico II fortificò Napoli, vi fondò l’università nel 1224 e coltivò, in un ambiente ribelle, la vita intellettuale della città.

Napoli dagli Angioini al Risorgimento

Nel 1266 l’insediamento della dinastia angioina a Napoli rinnovò l’importanza della città, proclamata con l’erezione di Castel Nuovo e della fortezza di Sant’Elmo. I re angioini e i loro successori aragonesi attirarono a Napoli grandi figure del pensiero e della letteratura italiana e gli architetti e artisti nordici il cui genio sopravvive in molti monumenti gotici e rinascimentali. Sotto Alfonso V d’Aragona (un monarca, secondo le parole dello storico Jacob Burckhardt, “brillante in tutta la sua esistenza”) la cultura napoletana trascendeva la guerra. Nel 1453 i fuggiaschi dalla caduta di Costantinopoli portarono un’infusione di arti bizantine. La crescita del potere politico napoletano è implicita nella visita di Lorenzo de’ Medici, sovrano di Firenze, alla corte di Ferdinando (Ferrante) I nel 1479-80.

Nel 1503 Napoli entra in possesso degli Asburgo spagnoli, i cui viceré hanno presieduto con rigore autocratico per oltre due secoli. Grandi chiese, conventi e palazzi privati di questo periodo testimoniano una concentrazione di potere contro la quale un popolo oppresso potrebbe periodicamente ma inefficacemente ribellarsi, come nella sfortunata rivolta guidata da Masaniello (Tomaso Aniello) nel 1647-48. Questo duro potere viceregale fu terminato con la conquista austriaca (1707). E, nel 1734, Napoli divenne, sotto i Borboni spagnoli, la capitale di un grande regno meridionale indipendente, Don Carlos (il futuro Carlo III di Spagna) assumendo il vecchio e tutt’altro che impenetrabile titolo di “re delle Due Sicilie”.

Napoli è diventata una potente capitale europea, con le sue implacabili divisioni di ricchezza e povertà gettate in sollievo dall’illuminazione del XVIII secolo. È significativo che, nonostante l’importanza dei precedenti artisti napoletani, solo con il XVIII secolo Napoli sviluppò una propria scuola di pittura. Studiosi e statisti di quell’epoca (come Giambattista Vico, Pietro Giannone, Bernardo Tanucci, Ferdinando Galiani, Gaetano Filangieri) sono di distinzione universale più che esclusivamente napoletana.

Un altro periodo di prolifica costruzione viene commemorato negli edifici pubblici borbonici (tra cui i palazzi reali di Portici e Caserta) e nelle dimore private. Il litorale vesuviano torna ad essere sede di comunità indaffarate e delle eleganti Ville Vesuviane, oggi per lo più in rovina. Gli scavi di Ercolano e Pompei attirarono visitatori stranieri, mentre, in un clima di neoclassicismo e di incipiente romanticismo, artisti, scrittori e studiosi arrivarono a vivere l’atmosfera napoletana. Le rappresentazioni della città e dei suoi dintorni (e del vulcano che la presiede, un po’ offuscato dai pittori precedenti) hanno fatto il giro del mondo.

Alla corte di Ferdinando IV (Ferdinando I delle Due Sicilie) e della sua magistrale regina, Maria Carolina, il colto inviato britannico Sir William Hamilton forgiò un legame anglo napoletano che dura ancora oggi. Le tendenze repressive di Maria Carolina furono traumatizzate dall’esecuzione nel 1793 di sua sorella Maria Antonietta, regina di Francia. Con l’irruzione di Napoleone in Italia (1798), la famiglia reale si ritirò nel panico a Palermo a bordo delle navi inglesi dell’ammiraglio Orazio Nelson. Le classi colte napoletane proclamavano la repubblica, mentre i poveri napoletani, i lazzaroni, abbandonati dal loro sovrano, restavano vigorosamente seppur incomprensibilmente monarchici. La Repubblica partenopea, nobilmente concepita, crollò in un bagno di sangue. Il ritorno punitivo dei Borboni e l’esecuzione o l’esilio dei repubblicani fanno del 1799 un’epoca tragica nella storia napoletana.

Nel 1805 la corte fuggì nuovamente a Palermo e, fino al 1815, il Regno di Napoli fu governato, con riforme legislative, dal fratello di Napoleone Giuseppe Bonaparte e, successivamente, da Gioacchino Murat. Dopo la caduta di Napoleone, i Borboni rientrarono a Napoli con l’aiuto dell’Austria. Tuttavia, la debolezza e la corruzione dei successivi monarchi borbonici e la loro spietata repressione delle idee progressiste, hanno posto le basi per l’ingresso trionfale di Giuseppe Garibaldi in città nel 1860 e per l’assorbimento di Napoli nel Regno d’Italia.

La città in epoca moderna

Privata del potere territoriale, la città di Napoli, a partire dalla fine dell’Ottocento, ha cercato sempre più spesso la sopravvivenza in un grado di industrializzazione inafferrabile e temperamentalmente incompatibile e nell’ingegno dei suoi cittadini, le cui doti di improvvisazione sono state richiamate non meno dagli enigmi burocratici moderni che dall’indifferenza delle monarchie del passato. L’epidemia di colera del 1884 ha suscitato un transitorio spirito di riforma, che si è riflesso nella bonifica delle baraccopoli, nell’ammodernamento dei sistemi idrici e di trasporto e in altre opere pubbliche. Un sorprendente resoconto contemporaneo dell’epidemia e del suo contesto si può trovare ne Il ventre di Napoli, a cura della giornalista Matilde Serao. Nel 1973, durante una breve ricomparsa del colera in città, questo libro, riedito, è stato trovato fin troppo appropriato.

L’ottimismo del risanamento è stato purtroppo rovinato dall’inizio della prima guerra mondiale.

L’ascesa del fascismo in Italia, aggravata dalla Grande Depressione degli anni Trenta, ha oscurato l’intervallo tra le guerre (da cui, a Napoli, il filosofo Benedetto Croce e altri personaggi illuminati si sono fatti avanti in difesa dell’umanità e della ragione).

Mentre Napoli ha condiviso con tutta l’Italia il degrado del fascismo, poche città italiane hanno sofferto così tanto nella seconda guerra mondiale o hanno fatto una ripresa così dolorosa e incompleta.

Il restauro concertato di monumenti in degrado è stato inaugurato, in misura apprezzabile, solo negli anni Ottanta. Il fatto che la città sia sopravvissuta al dopoguerra senza un completo collasso economico e sociale è da attribuire quasi esclusivamente alla vitalità e alla filosofia della sua popolazione e alla capacità napoletana di coniugare forti passioni e resistenza.